Il rock è dannazione? Forse, vedremo, in parte. Genere musicale da sempre molto accattivante,a volte sconvolgente, a volte pacchiano, a volte insofferente: un immenso palcoscenico che dagli anni '50 ha visto convivere , costantemente, personaggi molto diversi tra loro per soluzioni creative, attitudine, doti tecniche, estetismo, vissuto, cultura, ideologia ; c’è chi è riuscito ad accarezzare le corde dell’anima e chi ci ha ficcato dentro gli artigli, chi ha sedotto e chi ha commosso, chi ha guidato e chi ha scandalizzato, chi è arrivato e chi è caduto.
Certo è , che il Rock, quello vero, ha lasciato solchi notevoli su di uno sfondo socio-culturale, che non è mai uscito illeso dall’incontro-scontro con certe personalità magnetiche e vibranti. Depositario delle superstizioni puritane legate al Blues, il nostro elettrico “amico” ribelle viene immediatamente consacrato da molti come empio frutto del demonio, il che non è male per un neonato, a cui però puzza già l’alito di birra e non solo…
Una cospicua fetta di Rock è senza alcuna ombra di dubbio intrisa di dannazione, se non densa del tutto, ma ciò non vuol dire certo approdare ad uno scenario che gravita esclusivamente intorno a diavoli, streghe, esoterismo e blasfemia. Per carità, questa frangia vi è stata e sempre vi sarà, perché l’arte non ha limiti né vincoli creativi, però mi sento di utilizzare il significante “dannazione” per giungere anche a dimensioni, condizioni e dinamiche prettamente umane e terrene, innervate magari di oscurità, ma prive di contaminazioni diaboliche ed “intorbidamenti” occultistici.
Decadenza, trasgressione, incomprensione, degrado, genialità, possono rendere l’uomo, specie se artista, maledetto,dannato. Ma questa è ovviamente un’insulsa e sciocca impressione, dettata forse da un occhio “benpensante”, nell’accezione “deandreiana” del termine, oppure semplicemente desunta da una diversità molteplice che si staglia inevitabilmente contro lo standard del cittadino medio, ordinato , placido, moderato, schematico, a tratti insipido. Rimango dell’idea che la sensibilità sia quel fertile terreno da cui crescano malesseri e paure e spesso sboccino errori, alle volte anche gravi, che la fragilità sia un soffice, ma non del tutto comodo, guanciale, su cui poggia l’esistenza di ognuno, lieta o misera che sia e che l’arte sia un portale, capace di dischiudere la verità e l’essenza delle cose sino a spogliare l’animo umano e mostrarne le più “ intime nudità”.
Il Rock ( quello vero) è colpevole di aver messo l’uomo completamente a nudo, trovando, nella condivisione di valori contrastanti con quelli dominanti, nei desideri arcani, nei disagi esistenziali, nelle debolezze, nelle rivendicazioni culturali e razziali, nella lotta della working class, pietre molto dure da scagliare violentemente contro quel “gigante di cristallo” che è la morale e che ancora oggi continua a gettare, impietosamente, in un pozzo d’intolleranza e alienazione, tutti quei figliastri di un destino sgarbato, eredi di cornici e situazioni non invidiabili.
Un sentito ringraziamento a tutti i “dannati”, che tentano o hanno tentato di consegnarci degli occhi capaci di vedere oltre l’apparente e delle ali , di “baudelairiana” memoria, fatte di musica e parole, con cui accamparci sulle nuvole e confidarci con le stelle.
Certo è , che il Rock, quello vero, ha lasciato solchi notevoli su di uno sfondo socio-culturale, che non è mai uscito illeso dall’incontro-scontro con certe personalità magnetiche e vibranti. Depositario delle superstizioni puritane legate al Blues, il nostro elettrico “amico” ribelle viene immediatamente consacrato da molti come empio frutto del demonio, il che non è male per un neonato, a cui però puzza già l’alito di birra e non solo…
Una cospicua fetta di Rock è senza alcuna ombra di dubbio intrisa di dannazione, se non densa del tutto, ma ciò non vuol dire certo approdare ad uno scenario che gravita esclusivamente intorno a diavoli, streghe, esoterismo e blasfemia. Per carità, questa frangia vi è stata e sempre vi sarà, perché l’arte non ha limiti né vincoli creativi, però mi sento di utilizzare il significante “dannazione” per giungere anche a dimensioni, condizioni e dinamiche prettamente umane e terrene, innervate magari di oscurità, ma prive di contaminazioni diaboliche ed “intorbidamenti” occultistici.
Decadenza, trasgressione, incomprensione, degrado, genialità, possono rendere l’uomo, specie se artista, maledetto,dannato. Ma questa è ovviamente un’insulsa e sciocca impressione, dettata forse da un occhio “benpensante”, nell’accezione “deandreiana” del termine, oppure semplicemente desunta da una diversità molteplice che si staglia inevitabilmente contro lo standard del cittadino medio, ordinato , placido, moderato, schematico, a tratti insipido. Rimango dell’idea che la sensibilità sia quel fertile terreno da cui crescano malesseri e paure e spesso sboccino errori, alle volte anche gravi, che la fragilità sia un soffice, ma non del tutto comodo, guanciale, su cui poggia l’esistenza di ognuno, lieta o misera che sia e che l’arte sia un portale, capace di dischiudere la verità e l’essenza delle cose sino a spogliare l’animo umano e mostrarne le più “ intime nudità”.
Il Rock ( quello vero) è colpevole di aver messo l’uomo completamente a nudo, trovando, nella condivisione di valori contrastanti con quelli dominanti, nei desideri arcani, nei disagi esistenziali, nelle debolezze, nelle rivendicazioni culturali e razziali, nella lotta della working class, pietre molto dure da scagliare violentemente contro quel “gigante di cristallo” che è la morale e che ancora oggi continua a gettare, impietosamente, in un pozzo d’intolleranza e alienazione, tutti quei figliastri di un destino sgarbato, eredi di cornici e situazioni non invidiabili.
Un sentito ringraziamento a tutti i “dannati”, che tentano o hanno tentato di consegnarci degli occhi capaci di vedere oltre l’apparente e delle ali , di “baudelairiana” memoria, fatte di musica e parole, con cui accamparci sulle nuvole e confidarci con le stelle.
Emanuele